La fortezza virtù da riscoprire. Dio con un bacio lo ha preso e…
Le cose crescono lentamente, hanno la loro ora, fanno giri e rigiri numerosi. E occorre amore, una pazienza autentica, un amore per la vita. Esse hanno bisogno di fiducia, e soltanto l’amore è capace di fiducia. Chi non ama la vita, non ha pazienza con essa.
Ed io, questa virtù che chiamiamo fortezza, l’ho vista negli occhi, nel portamento semplice e grave, nella tenerezza dei gesti di una giovane mamma.
Qualche giorno fa una notizia sconvolge il sereno ritmo di una famigliola: papà (46 anni), mamma e due splendidi bambini di 5 e 10 anni. Il papà accusa all’improvviso un dolore alla schiena. Le analisi, un intervento chirurgico urgente e… tutto precipita. In un mese il papà muore.
La mamma è una giovane del gruppo della mia prima parrocchia di Roma. Corro per l’abbraccio perché, più delle parole, vale il piangere insieme, in silenzio, senza soffocare le domande più “indecenti”. Anzi più che domande siamo diventati tutti, come un solo corpo, una grande domanda lanciata al cielo. Ci stringiamo accanto al corpo senza vita del papà con il cuore carico di amore.
Le lacrime si fanno carezza delicatissima, quasi a non voler turbare il suo sonno.
“Posso dargli un bacio?” mi sussurra la moglie. Sì, perché anche DIO CON UN BACIO LO HA PRESO E LO HA PORTATO CON SÈ… perché Lui è così che fa! E poi in chiesa, a pregare, a cantare, a proclamare la speranza fondata sulla parola di Dio e sull’Eucaristia.
I bambini hanno portato dei regalini al papà e hanno voluto che fossero messi accanto a lui: un peluche, un souvenir con l’Annunciazione acquistato nell’ultima gita scolastica, un mazzo di carte con cui tante volte hanno giocato insieme e una lettera d’amore della moglie.
Al momento della preghiera del Padre nostro ho chiamato i bambini e gli amichetti attorno alla bara e dandoci la mano lo abbiamo circondato e insieme abbiamo pregato il Padre.
L’assenza del papà, si è rivelata un nuovo modo di presenza, in Dio.
Non era un’eroicità ostentata, ma la grande dignità del dolore e dell’amore.
Gli amici sembravano formare un solo corpo, silenzioso e vivo. La speranza sostenuta dalla fortezza univa i cuori e allontanavano la solitudine.
“Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”, grida Marta a Gesù davanti alla tomba di Lazzaro. Ma Lui c’era, sì, era lì nel silenzio di quel corpo ma soprattutto nell’unità di questi amici.
E proprio mentre celebravamo l’ultimo A-Dio (Addio), il fratello della moglie ci mandava un messaggio dal Vietnam, dove si era recato con la moglie ad accogliere un bambino in adozione. La vita, sbocciava su questa radice e il dolore si trasformava in dono.
Le lacrime di gioia e lo strazio del dolore componevano un disegno inspiegabile.
Padre Alfredo con Luciana – Loreto 2009
ECCO LA FORTEZZA DOVE SI RADICA: nel credere alla potenza della vita.
Dico fortezza, termine desueto, ma desueta non è quella virtù cardinale che fa trovare la forza d’animo e la capacità di accettare con saggezza protettiva ciò che non possiamo modificare. Forte è chi sa sopportare avversità, dolori o sventure senza distruggersi, chi sa reggere le difficoltà senza disperarsi, chi ha il coraggio di intraprendere una via che sa essere impervia e tortuosa. E per questo riesce a portare a termine quanto intrapreso. Forte è chi ama la vita e coltiva una virtù che modera i timori di morte o di fallimento. La fortezza difende dalla auto-commiserazione e consente di arrischiare, ricorda che siamo esposti al pericolo in quanto mortali e nel contempo fa affrontare ciò che ostacola per vincere con saggia audacia.
Questo papà amava i cavalli e mi è venuto alla mente quel Figlio dell’Uomo che su un cavallo bianco avanza nel libro dell’Apocalisse con il segno della vittoria sulla morte.
Gli ho augurato che potesse galoppare accanto a Lui verso la vita su un cavallo bianco.
Ci vuole speranza. Ma da sola non basta. Ci vuole anche la fortezza.
Padre Alfredo Feretti OMI
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Buon mese di giugno, mese dedicato al Sacro Cuore di Gesù. Carla
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