La borsa e l’agenda di Padre Vittore
7 febbraio 1990 – Questa sera è passato, da casa mia, un fratello di san Francesco: ho visto incarnata la povertà, la semplicità, la perfetta letizia cantata dal Santo.
Padre Vittore, cappuccino, è venuto a prendere le videocassette che avevo montato per i missionari in Perù e Centrafrica, contenute in due grossi scatoloni.
Quando è arrivato, avevo pronta una richiesta da fargli, era questa: «Padre, ormai è tardi. Stasera dovevo andare all’ospedale a salutare una malata grave, che domani mattina trasportano in un’altra città per essere operata, ma sono quasi le otto e non mi lasciano più passare. Mi accompagni tu?». «Senz’altro, Carla!», mi ha risposto. «Ma prima, faccio una telefonata a degli amici che mi aspettano a cena. Arriverò in ritardo, è meglio che li avvisi: perché ti accompagnerò e poi ti aspetterò e ti riporterò a casa. Ora cerco il nu¬mero nella mia agenda».
Carla e Padre Vittore a Loreto nel 2008
lo non avrei voluto che si disturbasse tanto, ma nel Vangelo è scritto: «A chi ti chiede di fare con lui un miglio, tu fanne con lui due» (Mt 5,41). E Padre Vittore lo sa e lo fa. Fruga nella borsa, che aveva appoggiata sulla sedia. È una borsa consunta dal tempo, scolorita, qua e là anche scucita. Di strada ne ha fatta quella borsa, ha preso il sole, il vento, la pioggia, lo si vede bene. Il suo colore antico, forse, era il marrone, ma ora non c’è quasi più, in alcuni punti è quasi bianca. Chissà quante centinaia di volte è stata aperta e chiusa, presa sottobraccio o posata in terra dentro a un carcere, buttata sulla sabbia, nel fango, sulla jeep o messa in groppa a un asinello, come si vede nei documentari missionari che ho la fortuna di montare. Se po¬tesse parlare, quante cose direbbe quella borsa!
Finalmente, dopo tanto frugare, salta fuori l’agenda. Anch’essa fa vedere la sua veneranda età. Chissà da quanto tempo è sfogliata, consultata, annotata. La copertina non è più attaccata al resto dei fogli; le pagine sono sciupate e non più bianche per il gran sfogliarle, i nomi e i numeri sono fitti, fitti. Quante storie dietro ad ogni numero. Storie di chi aspetta un aiuto, una speranza, un consiglio e chiede una preghiera.
Quell’agenda così sdrucita e da buttare – secondo i più – quell’agenda così povera, così consumata, io la vorrei tenere come una reliquia, la metterei in un quadro, perché mi ricorderebbe sempre che ciò che conta in una persona non è l’abito o l’apparenza, non sono le ricchezze o la sapienza, ma il sentimento, l’amore, la disponibilità, l’amabilità, la saggezza, l’umanità.
Quasi per scusarsi, padre Vittore mi dice: «Ce l’ho un’agenda nuova a casa, ma non ho il tempo di trascrivere i numeri».
Trovato il numero che cercava, telefona: «Arrivo tardi perché passo dall’ ospedale, accompagno e riporto a casa una persona che va a far visita a una malata grave”. Poi si prende sottobraccio gli scatoloni con le video cassette e scendiamo insieme. Io sono molto stanca e ho un forte mal di testa, ma la Provvidenza mi ha mandato l’aiuto: da sola non ce l’avrei mai fatta, stanca com’ero, a recarmi all’ospedale. Padre Vittore mi precede, calmo, sereno, s’interessa della malata e mi assicura la sua preghiera per lei.
Mi sembra di vedere in lui, vestito così poveramente, così semplicemente, il frate che in Perù o in Centrafrica va di capanna in capanna, di villaggio in villaggio, attraverso boschi, sterpaglie, fiumi, ponti fatti con assi, con tronchi, o con corde, per visitare i poveri, gli ammalati, gli amici, gli scolari, i catechisti; vedo il frate che fa il muratore, l’ortolano, il cuoco, il falegname, il facchino, lo scavatore di pozzi, il medico, il maestro, l’ingegnere e fa tutto con la stessa divisa scolorita, con la stessa semplicità e naturalezza con cui adesso porta quei due scatoloni e porta me all’ospedale per essere vicino a quella malata e ai suoi familiari nel momento in cui si sentono, certamente, più soli. Lui sa che «servire l’uomo è regnare»: Gesù l’ha fatto e l’ha insegnato. Certamente, questa sera sono più ricca io, perché ho incontrato Francesco, ma è anche più ricco padre Vittore, perché mi ha dato il suo mantello, il suo cuore.
Grazie, padre Vittore per la tua borsa, più preziosa di quella di un gioielliere; per la tua agenda, più importante di quella di un diplomatico; per la tua tonaca povera e vecchia, ma degna di onore come il manto di un re; grazie per la tua disponibilità, per le tue arrabbiature quando le cose non vanno come vorresti, per il tuo sorriso di fanciullo, che si sente sicuro perché cullato da Dio, anche fra le tempeste. Grazie, perché stasera ho toccato con mano dove è «perfetta letizia» e ho visto la carta del «passaporto» per il Cielo.
2013 – Da oltre 15 anni Padre Vittore è nell’infermeria dei Cappuccini di Genova, perché colpito da una gravissimo ictus con emorragia cerebrale, mentre era in missione sulle Ande, l’aggravava il fatto che c’era bufera e non poteva arrivare l’elicottero. Ora è immobile nella sua infermità, ha bisogno di tutto e di tutti, ma il suo spirito è vivo e combattivo più di prima, perché la sua battaglia adesso è quella di vincere la vita, non con l’azione, ma con l’immolazione e l’offerta. Questo tempo dà testimonianza di verità a tutto quello che ha fatto e detto nel tempo dell’azione. Grazie Padre Vittore.
Adesso ti conoscono tutte le briciole e, con loro, ti assicuro il nostro affetto e la preghiera. La tua missione continua più di prima. Tua piccola e vecchia amica Carla Zichetti
Grazie a tutte le amiche e amici che hanno risposto con tanto affetto alla briciola di giugno, dando anche preziosi suggerimenti e testimonianze. Niente va perduto, la ricchezza di uno diventa la ricchezza di tutti. Carla
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