Briciola di Dicembre 2020
IL BISOGNO DI ESSERE CUSTODITI
Carissime Briciole di speranza, mi piace affidare questo mese di dicembre alla tenerezza premurosa della presenza di Dio Amore che vuole custodire e proteggere il dono che siamo e che abbiamo.
Portiamo in noi un bisogno profondo di essere custoditi, difesi, protetti di fronte alle sfide difficili che questo momento storico ci pone dinanzi. Un bisogno che vorremmo saziare di vicinanza, di attenzione, di cura ma che le condizioni presenti non ci permettono. Stiamo cercando strade nuove per non perderci, stiamo cercando uno stesso giogo sotto il quale camminare per coltivare il giardino del mondo, stiamo cercando di coniugare distanza e prossimità senza perdere i frutti dell’una e dell’altra. Potrebbe assalirci un senso di frustrazione, di rabbia o di apatia se non di accidia. È una tentazione, la prova di lascarci cadere le braccia, di aspettare che tutto torni alla normalità o peggio che tutto torni come prima.
Papa Francesco ci invita a riscoprire questa vocazione a custodire: La vocazione del custodire non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Libro della Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi: è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambiente in cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia: i coniugi si custodiscono reciprocamente, poi come genitori si prendono cura dei figli, e col tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. È il vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene. In fondo, tutto è affidato alla custodia dell’uomo, ed è una responsabilità che ci riguarda tutti. Siate custodi dei doni di Dio! E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce. In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode” che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano il volto dell’uomo e della donna.
Ritorno spesso su questo verbo e mi è molto caro: custodire ed essere custoditi. Viviamo un tempo nel quale sentiamo più che mai il bisogno di essere rassicurati, alleggeriti del carico della paura e dell’incertezza; e niente è più efficace di una parola, di un abbraccio (come possibile) che ci rassereni, ci confermi che non siamo soli e non siamo abbandonati. Papa Francesco ci ha indicato come uno degli obiettivi del post pandemia la riscoperta di una vera fraternità. Ma questo non si improvvisa, non si costruisce con un discorso o una esortazione, ma si edifica giorno dopo giorno con la pazienza dei tessitori.
La prima realtà da custodire è l’amicizia. Risentiamo ancora una volta le parole di Carla tratte dal suo diario: È bella l’amicizia, riempie la vita, più di tutte le attività che una persona può esercitare. Fare, fare, fare, è l’unico verbo che oggi si coniuga, ma di tutto il fare, cosa resta, se non lo fai con amicizia? L’amicizia è come l’aria che respiri, la senti anche quando sei sola, ti riempie l’anima di gioia, la senti anche quando non te ne accorgi, è la tua compagna, la tua forza. Ti fa tornare l’anima serena, quando dentro di te senti la tempesta; ti rende chiara la notte; ti fa superare le difficoltà; ti arricchisce; ti dà le ali. L’amicizia è il più prezioso e più grande dei doni, dei tesori da custodire, da difendere, da mantenere a qualunque prezzo. Ma se lo desidero tanto, debbo essere io per prima amica degli altri, essere il tesoro che si cerca, la perla che si scopre. Devo essere disponibile sempre, nonostante il male, la stanchezza, la mancanza di fiato e di riposo. Non posso fare, ma essere sì. Nulla mi dovrebbe impedire di essere per tutti l’amica, la fedele compagna di viaggio.[1] (4 gennaio 1984).
Le nostre case, le nostre famiglie sono il luogo deve meglio si può esprimere la custodia.
Ad un giornalista che ultimamente mi chiedeva come vedevo le famiglie vivere la dimensione di chiesa in questo tempo di pandemia, ho risposto: Siamo in un “tempo d’esilio”, lontani dalla nostra terra consueta, da quelle sicurezze che ci rendevano il vivere conosciuto e meno precario. Lì dove viviamo è una terra dove il tempio sembra sparito, la ritualità che ci dava parvenza di cristianità ci è sottratta. E qui la famiglia può rivelare tutta la sua potenza nella debolezza. Essere Chiesa domestica in questo momento storico significa riscoprire una spiritualità dal basso, che parte dalla vita, dalle relazioni, dalle passioni, dall’ascolto umile e appassionato della voce di Dio che parla nel quotidiano. Il nostro tempio è lì, nella nostra casa, nelle nostre relazioni spesso complicate, nelle fatiche per far fronte alla precarietà che azzanna e sembra strappare e fare a pezzi la nostra vita e le nostre sicurezze. La forza della Parola di Dio che si manifesta nella debolezza delle nostre persone, fruttifica con le leggi del seme o meglio con la legge della crescita che guida la crescita nelle nostre famiglie. Se la Chiesa è lì dove dimora Dio in mezzo al suo popolo, allora le nostre famiglie sono nella fatica (labor) dell’umile amore lo spazio vitale dove si spande la misericordia, il perdono, la sopportazione, la tenerezza e dove le fatiche e il lavoro si orientano nel ringraziamento, in una parola diventano Eucaristia. Per questo Carla ripeteva spesso una invocazione: Signore, sono nelle tue mani, custodiscimi. Sentire che le nostre famiglie sono custodite come gemme preziose nella sua mano. Ma anche ognuno di noi, piccola briciola è preziosa nelle sue mani. «Sia fatta la tua volontà. Sono certa che ciò che permetti è per il mio bene eterno, sono certa che tu sei la mia guida, che tu illumini chi mi cura; sono certa che tu mi custodisci, mi proteggi, mi difendi come la perla più preziosa.
Tu non mi hai dedicato qualche ora del tuo tempo, ti sei incarnato, sei morto per me, non posso dubitare».[2] (19 ottobre 1981)
Lasciamoci custodire da questa Sua presenza.
[1] Carla Zichetti, Ho spiato l’aurora, p. 254
[2] P. 172